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martedì, 01 aprile 2008

Papisti in Tibet

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Tutti a parlare di Tibet nei giorni scorsi. Fino alla nausea. Ma sui mitici cattolici tibetani nessuno che abbia speso una parola, ci pare, a parte Avvenire con un breve articolo di Lorenzo Fazzini.

A loro avevamo già accennato nel gennaio 2006, in particolare alla comunità di Cizhong.

Qui riportiamo un articolo sempre di Fazzini, uscito su Popoli e Missione nel marzo 2006, dove si parla invece della comunità di Yanjing.

 

CATTOLICI SUL TETTO DEL MONDO

Se da una parte crescono le conoscenze sulla Chiesa cattolica in Cina (stretta da una velata ma anche spietata persecuzione da parte del regime comunista), poco o nulla si sa del fatto che nel lontano e remoto Tibet vive una minuscola comunità di cattolici. Nel piccolo villaggio di 800 abitanti di Yanjing (che significa “salina”, da alcune vicine miniere di sale), a 3.000 metri d’altitudine, il 70% della popolazione professa la fede cattolica. Nella seconda metà dell’Ottocento l’intero villaggio si era convertito al Cristianesimo, proprio nella regione “cuore” della fede buddhista, patria del Dalai Lama, la guida spirituale dell’antica religione tibetana.
Una vicenda particolarissima e curiosamente provvidenziale, quella della presenza della Chiesa cattolica in Tibet: l’evangelizzazione del Paese più “alto” del mondo si deve a dei missionari delle Missions Etrangères de Paris (MEP), glorioso istituto ad gentes fondato nel Seicento, e dedicatosi prevalentemente all’annuncio in Asia. Orbene, la fondazione della Missione a Yanjing risale (come racconta l’agenzia Eglise d’Asie) a due intrepidi evangelizzatori francesi che giunsero in questa regione provenendo dall’India, con la speranza di arrivare in Cina. Qui si fermarono, si stabilirono per qualche tempo e iniziarono il loro lavoro di evangelizzazione. Che in seguito fu proseguito da alcuni missionari svizzeri – si trattava di Chanoines del Gran San Bernardo, evidentemente abituati alle “altezze” della missione in montagna – che nel 1856 poterono edificare la prima chiesa in Tibet. Negli anni seguenti l’intero villaggio di Yanjing aderì al cattolicesimo: la vita della comunità era fiorente, come testimoniano i libri sacri tradotti dal latino in lingua tibetana e risalenti a quell’epoca, ancora oggi conservati nella chiesa del villaggio.
Ma la pratica religiosa dei cattolici di Yanjing – Yerkalo, in lingua tibetana, mentre la precedente dizione è in cinese – non ha avuto un corso facile o tranquillo: è stata bagnata dal sangue del martirio e dalla violenza, ed anche è sopravvissuta alla chiusura totale verso le religioni operata dal regime ateo di Mao. Infatti, pochi anni dopo l’erezione della chiesa, alcuni lama tibetani uccisero il missionario francese Padre Etienne-Jules Dubernard, dei MEP, e ne affissero la testa decapitata fuori dalla porta del loro monastero, in segno di disprezzo verso la presenza cattolica.
La morte dell’intrepido sacerdote transalpino non fu l’unico tributo di sangue che i cattolici del Tibet pagarono alla loro fedeltà cristiana: infatti, in seguito a quell’uccisione le autorità cinesi (a quel tempo vigeva ancora il sistema imperiale) punirono i responsabili tibetani abbattendo alcuni templi buddhisti. Ma dei monaci decisero di vendicarsi e ingiunsero ad alcune famiglie cattoliche di Yanjing di rinunciare alla loro fede. Queste non abiurarono ma diedero testimonianza fino alla morte del loro credo cristiano: diversi cristiani furono uccisi in un luogo chiamato “campo di sangue”, così conosciuto ancora oggi. E ancora nel 1949 un missionario fu messo a morte.Era il Padre svizzero Maurice Tornay, fondatore di un monastero nella regione dello Yunnan: per un po’ di tempo fu lui responsabile della comunità di Yanjing, ma dovette subire le angherie dei religiosi buddisti del locale monastero di Ganda, che esercitavano una sorta di dittatura politica, senza lasciare spazio ad altre religioni. Quando nel 1949 si stava recando nella capitale Lhasa per protestare contro questa situazione, cadde in un’imboscata e fu ucciso.
Oggi di certo la situazione nel piccolo borgo himalayano è diversa: come racconta un inviato dell’associazione Aiuto alla Chiesa che soffre francese, che di recente è stata nel villaggio, i rapporti tra buddhisti e cattolici sono buoni, frequenti i matrimoni misti, mentre tra i figli e nelle famiglie convivono appartenenti sia all’una che all’altra religione. Tanto che quando – dopo quasi 50 anni di assenza – a Yanjing è tornato un prete cattolico, i monaci buddhisti di Guanda hanno chiesto scusa ai cattolici locali.
Anche la vicenda degli ultimi decenni dei cattolici di Yanjing ha dell’incredibile: infatti, con il 1949 e l’annessione del Tibet da parte della Cina comunista, più nessun sacerdote poté assistere la comunità del villaggio a strapiombo sul Mekong, il celebre fiume che, partendo dall’Himalaya, sfocia nell’Oceano Indiano. Solo con il 1996 un nuovo sacerdote arrivò a Yanjing: era Padre Lawrence Lu Rendi, che oggi ha 34 anni, il primo prete cattolico tibetano dopo decenni. Dal 1998 Padre Lu serve il villaggio e i circa 3 mila cattolici del Tibet, disseminati in 10 centri, dove però non ci sono chiese, ma le riunioni e le celebrazioni eucaristiche avvengono nelle case degli stessi fedeli. A Yanjing Padre Lu ha ricostruito la chiesa parrocchiale, essa stessa emblematico simbolo della fortezza della fede dei cattolici del Tibet: costruita appunto dai missionari svizzeri nell’Ottocento, fu confiscata durante la Rivoluzione culturale maoista e trasformata in scuola. Solo nel 1982, con la stagione di maggiori aperture da parte del governo di Pechino, i cattolici tibetani poterono riprendere il corso di una pratica non più osteggiata dal regime: di tanto in tanto un anziano sacerdote cinese, che conosceva la lingua locale, veniva a Yanjing per celebrare la Messa. Nel 1986 poi la chiesa poté riprendere il suo uso normale. Nel 1999 un violento terremoto la danneggiò gravemente: il governo ne permise la ricostruzione solo in argilla, ma Padre Lu si batté per ristabilire in pienezza l’edificio sacro.
Ora l’opera del giovane ma deciso sacerdote (lui stesso originario di Yanjing) sta per arrivare a completamento: la chiesa è stata ricostruita secondo uno stile tibetano, ma mancano fondi per finire i lavori. Intanto però Padre Lu – come ha raccontato di recente l’agenzia AsiaNews – è stato affiancato da un altro sacerdote sempre originario del Tibet, Padre Ding Yaohua, e l’opera di assistenza pastorale ai cattolici tibetani prosegue, con corsi di catechesi e la preparazione ai sacramenti. E una particolarità: gli stessi cattolici, ciascuno in proprio, coltivano un po’ di quell’uva sconosciuta in questo lembo di mondo, a suo tempo introdotta dai missionari francesi, usata poi per il vino da Messa. Un segno concreto di come i cristiani del Tibet sentano davvero “loro” la fede cattolica.

f

 

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Comments:

#1  01 Aprile 2008 - 17:34

 

Mt 5,13
(miniera in Tibet)

luigipuddu

 

utente anonimo

#2  02 Aprile 2008 - 13:49

 

eh già

 

utente anonimo

#3  16 Settembre 2008 - 16:35

 

Secondo voi, nello stesso periodo delle missioni in Tibet, come sarebbe stata tollerata una missione buddista in Italia?
Che c'è da scandalizzarsi? I tempi erano tali e i cristiani non sono certo mai stati più accoglienti meno violenti verso altre religioni.

 

utente anonimo

#4  04 Novembre 2008 - 20:43

 

non mi pare poi il caso di lamentarsi del Dalai Lama se non che dei Missionari Cristiani Italiani e americani che anche se in forte espansione in Cina non pensano certo al Tibet pero' aperto a tutti loro come Missionari di pace assoluta verso i giovani ribelli da moderare.

http://www.asianews.it/index.php?l=it&art=13623&size=A#

utente anonimo

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